Il mio programma

L'impossibile, realisticamente.

Inziamo!

Viviamo tempi eccezionali e terribili. 

Le grandi questioni della pace e della guerra, della salute e della malattia, della povertà e dell’uguaglianza, dell’ambiente e della sua contaminazione, della libertà e dell’autoritarismo, della realtà e della sua falsa rappresentazione, sfidano la nostra vita quotidiana e affollano i nostri pensieri e le nostre preoccupazioni. 

Il nostro presente che appariva così solido e sicuro si è manifestato fragile, incerto, e ha aperto più interrogativi che risposte. 

Le nostre ansie, i nostri timori, ma anche le nostre speranze, il nostro anelito di riscatto, la nostra voglia di recuperare serenità, sembrano confrontarsi con un senso di inappagamento, che degrada in sfiducia e che si trasforma in solitudine, come l’essere anonimi pur dentro ad una grande folla di gente.

Questa nostra epoca (Papa Francesco parla di cambiamento d’epoca e non di un’epoca che cambia) sta assegnandoci un compito esigente ed evidente nella fatica della vita, nella sfida a cui ogni giorno siamo chiamati, donne e uomini, come individui e come insieme in un tempo, in un luogo, in una comunità. 

Un territorio ed una comunità di persone si relazionano con altre e vivono questa contemporaneità dentro le reti globali dell’economia, dell’informazione, dei mutamenti climatici e ambientali, delle migrazioni di popoli alla ricerca di condizioni di vita accettabili che altrove sono loro negate.

Questi nostri tempi ci chiamano a nuove responsabilità e ci domandiamo quale sia il luogo e la misura di questo impegno. 

Questo luogo, che chiamiamo Abbiategrasso, è chiamato a sfidare se stesso.

Se assumiamo che questo luogo, fatto di donne e di uomini, è una comunità che vive e si proietta inevitabilmente al domani, comprendiamo che Abbiategrasso non è l’oggetto della politica, ma è il soggetto che racconta se stesso per come vorrebbe essere nel tempo che ci è dato e davanti alle incognite e alle sfide di un futuro difficile eppure anche affascinate e pieno di prospettive, se solo non si lascerà in esilio un’idea della politica che guarda avanti con ambizione senza tralasciare di curare il presente.

Ed allora, la sfida e il quotidiano. 

Inutile nasconderci la realtà, sono smarrita. 

Negli ultimi anni ho perso fabbriche, imprese, lavoro. 

Sono rimasta nel novantesimo della mia elevazione al rango di città soltanto con il titolo, non ho più importanti uffici e servizi pubblici, l’ospedale è stato ridotto di ruolo. E’ vero ho licei e scuole superiori che nel passato non c’erano, ma molta mia gente è costretta a trovare lavoro altrove. 

Mi devo reinventare un futuro che deve essere anche presente dentro il tempo della rete tecnologica ed entro lo spirito creativo di Milano, della quale voglio condividere la capacità di innovare, senza esserne una parte passiva. 

Guardo il mio territorio e lo vedo di boschi secolari, proiezione verde dell’azzurro del Ticino, di campi curati dalla sapienza dell’agricoltura, di un contesto costruito che nel tempo ha conservato la sua struttura storica e architettonica con monumenti importanti, di gente che la abita e che mi vuole bene, ma che mi vede un po’ appannata e un po’ perplessa perché non scorge quale possa essere la direzione per uscire dalla difficoltà e dalla marginalità.

Sono stata territorio di frontiera nel passato preunitario, che ha voluto dire dogana imperiale e Risorgimento. Quindi sono stata dentro la grande storia.

Per questa mia storia, per questa di mia capacità di essere stata agricoltura e industria, di essermi sempre riproposta e rilanciata con obiettivi importanti.

Mi candido per diventare, senza velleità, senza presunzione, pur nella consapevolezza delle difficoltà, con un progetto alto mi sento in grado di dare tono e prospettiva a questa nostra realtà periferica nell’area metropolitana. 

Un progetto che nasce dentro la città e che attiva le sue energie culturali (anche scolastiche) ed economiche (si pensi al contributo del commercio e dell’imprenditoria agricola e dell’agriturismo) e che si irradia al di fuori coinvolgendo istituzioni (ad esempio, l’Università) ed enti culturali, economici, istituzionali, della Regione e di Milano.

Potermi candidare e competere con altre realtà – sperabilmente in rete insieme con altre comunità vicine – per vincere la gara e diventare Capitale italiana della cultura significa valorizzare un territorio, secondo le sue vocazioni migliori e, nel contempo, svilupparle per ricostruire una identità cittadina ormai appannata.

E’ un progetto ambizioso? Certamente. Riuscirò ad ottenere la nomina? Non lo so, ma ho bisogno di guardare alto, se voglio costruire un futuro da protagonista e dunque allargo la rete delle iniziative, avvio attività

universitarie

nel convento dell’Annunziata: ho bisogno del respiro della ricerca, dell’istruzione, che porta idee e persone, che alimentano il confronto con la realtà quotidiana delle nostre imprese e che ne favoriscono il sorgere di nuove; ma attivo altre con le istituzioni milanesi dell’economia e della cultura e, dunque, rilancio la dignità di

manifestazioni fieristiche e di mostre di livello metropolitano e nazionale

vengo da una storia antica che è il segno delle nostre radici contadine che hanno generato poi fabbriche, negozi, professioni, lavoro.

Le mie fiere non sono state solo una vetrina, ma la rappresentazione concreta dell’ingegno in una forma alta e di qualità.

Vorrei tornare a quelle esperienze con Abbiategusto riproposto nella sua dimensione nazionale, con mostre ed eventi (come “Vivere la nebbia” e il teatro di strada) frutto sia della diretta iniziativa comunale sia dell’associazionismo locale.

Per fare tutto ciò dovrò dotarmi di un organismo adeguato che sia lo strumento della politica di sviluppo territoriale del mio territorio e dell’abbiatense.

Ecco, per l’appunto il 

territorio

questo bene prezioso e definito, che con l’acqua, l’aria, la natura e l’ambiente urbano, costituisce il luogo del nostro vivere e del nostro porci in relazione con altri territori e altre comunità.

Abbiategrasso è sempre stata generosa e gelosa di questa caratteristica di città costruita e di ambiente libero. Sono cresciuta dialogando e rispettando questo rapporto così delicato.

Sono stata e sono generosa.

Nel mio territorio arriva da nord il Naviglio Grande, che dà origine al Naviglio di Bereguardo, e prosegue verso est fino a Milano.

Storicamente sul Naviglio Grande i barconi trasportavano il marmo per la costruzione del Duomo, da sud lungo la rotta Po – Ticino, sul Naviglio di Bereguardo, le barche portavano il sale a Milano.

La pietra viva dell’anima ambrosiana e il sale della vita per le persone si incrociavano qui.

Sono un territorio complicato e geloso, come ogni frontiera, al limite di una grande città ed immerso nel verde di campi coltivati e boschi, attraversato da strade e ferrovia, ed ora interessato da una nuova strada che porta verso il nord piuttosto che verso e da Milano che è il più urgente problema nostro e della Lomellina, sebbene ben sappia che esiste il problema di far tornare a respirare Robecco stretto nella morsa del traffico.

Quindi voglio essere realistica e determinata e voglio attivarmi perché Anas riveda complessivamente il progetto sin qui elaborato.

Diciamolo francamente: un ponte di centinaia di metri che superi il Naviglio Grande in località Bruciata di Albairate e che atterri oltre la linea ferroviaria non è accettabile e non è compatibile con la tutela dei valori paesaggistici e ambientali a cui sono preposti ben due Parchi regionali, del Ticino e Agricolo Sud Milano, entrambi coinvolti dalla nuova strada.

Ho bisogno invece di un percorso nuovo che da est a ovest mi consenta di riconnettere alla città i quartieri Ertos e Castelletto, all’interno di un progetto complessivo che riduca al massimo, anche e soprattutto verso nord, il consumo di suolo con nuovi tratti di collegamento con la rete viabilistica esistente, valorizzata e potenziata.

Il risparmio di suolo inedificato porta con sé anche quello economico che andrebbe utilizzato per riqualificare in sede la SP 114 per Milano Baggio con la realizzazione di intersezioni a rotatoria, come nel tratto tra Cusago e Milano, sia la strada statale n. 494 “Vigevanese” al fine di migliorare in qualità e sicurezza le viabilità esistenti verso Milano.

Credo che su queste basi, negoziando con il Commissario governativo incaricato per la nuova strada, sia possibile arrivare ad una soluzione accettabile e condivisa.

Si è tornati a parlare di raddoppio ferroviario nel centro urbano. La proposta delle Ferrovie su richiesta della Regione è di portare in centro anche la stazione di testa della linea S9 che ora si ferma ad Albairate con quattro binari a raso, cioè al livello del piano del terreno.

La proposta nulla dice di come sarà il raddoppio verso Vigevano, di come saranno gli attraversamenti di via Galilei e di via Maggi, poco o nulla si sa di come saranno gli altri, che si vogliono sotto la linea dei binari, di come e dove sarà l’attraversamento pedonale e carraio, quali sono le sue ricadute ambientali, paesaggistiche, urbanistiche, storico – monumentali, sociali ed economiche, determinanti per la qualità della vita degli abitanti.

In proposito è necessario ricordare che la tutela dell’ambiente per la Costituzione riguarda sia quello naturale sia quello costruito sia anche la tutela del patrimonio storico e artistico, come beni che vanno garantiti “anche nell’interesse delle giovani generazioni” (art. 9, Cost.).

L’opera è finanziata con i fondi del PNRR, la città non intende perderli, ma è suo diritto sapere come vengono spesi.

Questo intervento è troppo importante per essere confinato solo nella sfera decisionale dei tecnici e nell’ambito esclusivo della politica ed è per questa ragione che sarà necessario consultare le persone, perché abbiano la possibilità di valutare il progetto, quando lo si potrà conoscere, e di esprimere su di esso la loro opinione.

Sono città, quindi case, imprese, negozi, studi professionali, attrezzature pubbliche, vie, piazze, parchi; sono soprattutto persone che la abitano, che vi lavorano, che studiano, sono anche campagna e boschi.

Che cosa voglio essere per loro, o meglio, che cosa vogliono che sia la loro città?

E’ vero che ho il secondo territorio per estensione dopo Milano nella città metropolitana e che la mia parte costruita è circa il 18%, ma vorrei dedicarmi più che a consumarne di nuovo a recuperare e a rigenerare quello già costruito e degradato, come vuole anche la Lombardia con la sua legge sul risparmio del consumo di suolo.

Sono cambiata nel tempo, nella composizione degli abitanti, delle loro esigenze e aspettative.

La pandemia ha anche modificato l’organizzazione del lavoro con lo smart working, che richiede spazi adeguati per il lavoro nelle abitazioni, o nuovi spazi comuni nei condomini che vengono utilizzati insieme da più persone (il cosiddetto coworking).

Se cambiano e sono cambiate le esigenze abitative, è cambiato e sta cambiando anche il rapporto della gente con la città dal punto di vista dei servizi, delle attrezzature pubbliche e di uso pubblico, degli spazi di socialità e per lo sport.

Non sono più una città industriale delle fabbriche, se non in misura ridotta, ho perso la mia importanza nei servizi, mi devo ripensare in funzione delle nuove aspettative della gente e del riutilizzo e recupero delle parti degradate o dismesse.

Ho una proposta

Vorrei tornare all’idea della città delle diverse destinazioni d’uso integrate tra di loro: non quartieri con una sola destinazione, ma parti di me stessa che si rigenerano con abitazioni, uffici, negozi e servizi strutturate sulle esigenze demografiche dei miei abitanti.

Le quantità edificatorie saranno calibrate in ragione della effettiva possibilità, anche economica, di restituire alla gente edifici ecologici, spazi comuni costruiti e spazi liberi.

Vorrei riuscire ad estendere la rete della fibra e puntare molto sull’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati.

Vorrei rendere integrato lo spazio costruito e il paesaggio agricolo, implementando le aree piantumate attraverso strumenti di incentivazione come quello del progetto Forestami.

Mi piacerebbe realizzare corridoi verdi che mi attraversano da una parte all’altra, che mi mettono in contatto con tutto il verde che c’è fuori e che diventa parte di me stessa.

La scommessa per un ambiente più sano ed una città più moderna nasce anche da queste cose.

Il commercio e l’artigianato di servizio

Favorirò il cambiamento di destinazione d’uso dal commercio all’artigianato di servizio (ristoranti, bar, parrucchieri) e viceversa, senza penalizzare questi mutamenti. Ho bisogno di strade vive, illuminate dalle vetrine e fatte vivere dalla voglia di fare impresa dei singoli e delle famiglie, ed è per questa ragione che il mercato deve rimanere nel centro, come occasione, anche, di relazioni sociali, oltre che merceologiche e per l’indotto che produce a favore del commercio in sede fissa.

Favorirò la mia anima solidale con nuovi spazi adeguati al mondo dell’associazionismo.

Farò in modo che nelle nuove parti recuperate vi sia la concreta possibilità di fare impresa (ad esempio partecipando ai beni regionali per i distretti del commercio) e solidarietà, non in astratto ma con misure urbanistiche precise. Eccole: in tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia i locali destinati al commercio di vicinato e all’artigianato di servizio non saranno conteggiati negli indici edificatori fin tanto che conserveranno questa destinazione per almeno cinque anni, e dopo questo termine potranno cambiare destinazione con il pagamento del relativo ed intero contributo di costruzione.

Le imprese terziarie e industriali

Aree ce ne sono già per nuove imprese industriali e farò un censimento per valutare se le aree esistenti sono idonee e utili; per le imprese direzionali prevedo la loro completa compatibilità con il tessuto urbano, in modo che si integrino in una relazione positiva tra residenza, lavoro, servizi.

Questo nuovo vestito urbanistico non sarà solo il prodotto della tecnica giuridica, dell’architettura, della sociologia, ma sarà il risultato di un lavoro per il quale la tecnica sarà al servizio della gente e sarà la gente a contribuire alla sua realizzazione attraverso il nuovo piano di governo del territorio.

Una poesia dice che:

Non esiste il presente,
se non nella forma del futuro
che appena è, già è stato.”

Questa è la forma del tempo, una continua tensione tra passato ed un presente che è sempre rivolto al domani.

L’amministrazione del comune

La cura del presente è l’ordinaria amministrazione di una città.

Importante come la prospettiva verso il domani è l’esercizio dei servizi e la manutenzione.

Come Abbiategrasso mi voglio bene e sono sicura che anche gli abitanti abbiano lo stesso sentimento, perciò incominciamo tutti a ribaltare l’idea che la cosa comune non è di nessuno e che invece è anche nostra, di tutti, e che la sua cura, il suo rispetto, sono affari nostri, che non esiste un pubblico che può essere sfregiato, perché tanto non è la nostra proprietà.

La città è pulita se anche le persone che la abitano la rispettano e la tengono pulita.

La manutenzione della città è affare dell’Amministrazione comunale e di tutti.

E’ un modo semplice di essere solidali e di fare cittadinanza.

Scopo della pubblica amministrazione è, insieme al rispetto della legalità, di garantire i diritti di cittadinanza.

Il Comune è un apparato di procedure, di strumenti, di mezzi, di risorse finanziarie, ma è soprattutto un insieme di professionisti organizzati in servizi e uffici.

Se occorre, la struttura amministrativa va riorganizzata e migliorata, resa più efficiente nell’istruttoria e nella conclusione dei procedimenti, ma tutto ciò può avvenire solo se si investe sulle persone, sulle loro capacità, sulla loro motivazione.

Un personale ben organizzato e ben motivato, incentivato in base ai risultati ottenuti, è la risorsa prima ed essenziale per la migliore cura della comunità.

In città il Comune non è solo. Ci sono aziende come l’Amaga per i servizi industriali, l’Assp per quelli sociali, che se poste in rete con l’organizzazione comunale, senza sovrapposizioni, con chiarezza di rapporti e di contenuti contrattuali, sono una risorsa dell’oggi ed un sicuro investimento per il domani.

Ed è dentro a questo quadro organizzato che deve essere effettuata la manutenzione del cimitero, degli edifici pubblici, delle strade, del verde.

Con la cura del quotidiano si tratta di assicurare:

  • la salute con una sanità efficace e accessibile a tutti. Infatti, la salute è un bene essenziale di tutela delle persone. Occorre ripartire da questo principio e tornare a considerare la sanità come un valore e non come un mercato. Il futuro del nostro ospedale deve essere visto nella logica del bene della salute e non della convenienza commerciale, che è la logica dominante della sanità lombarda.

L’ospedale soffre da lungo tempo di residualità all’interno degli assetti ospedalieri dell’ovest milanese, perciò occorre andare oltre l’emergenza e la marginalità di oggi. Occorre ridefinirne la fisionomia e recuperare le specialità richieste dalla legge per avere un pronto soccorso.

Un ruolo originale può venire da un rapporto integrato con il Golgi, l’hospice e la casa di riposo che prestano un servizio di assoluto ed alto livello per la cura dell’anziano e delle malattie terminali.

Andrebbero valorizzate le eccellenze oggi esistenti (Oculistica e Piede diabetico) e rilanciate le attività medico-chirurgiche almeno per gli interventi a bassa intensità di assistenza.

Ma il bene salute non si soddisfa solo concentrando tutto nell’ospedale, come l’esperienza del covid, soprattutto in Lombardia, ha dimostrato: è quindi indispensabile recuperare un rapporto vero ed intenso con i medici di base, secondo un modello della cura che è presenza territoriale puntuale (ad esempio, con la casa di comunità) e integrazione sociosanitaria con i servizi comunali.

  • l’istruzione con un sistema di qualità che vuole dire scuole adeguate (è veramente triste constatare che in 15 anni non si sia risusciti a costruire una nuova scuola dell’infanzia in via Colombo!), attività e servizi per il diritto allo studio.

Dobbiamo avere la consapevolezza che il nostro petrolio è l’intelligenza. Perciò è dovere della comunità coltivare come prioritario il bene dell’istruzione, che è la sola via di crescita per i giovani e di riscatto per gli adulti che soffrono deficit di conoscenza. 

Tutta la rete dei servizi alla persona, dall’educazione all’assistenza socio assistenziale ha per riferimento la famiglia e la famiglia è il cuore verde della città, e dunque una città più verde, più amica dei bambini, che elimina le situazioni di degrado anche edilizie (e certamente lo sono le barriere architettoniche nelle strade e nei fabbricati), è di per sé una città che vive meglio e fa vivere meglio.

Il cuore verde della famiglia ha bisogno di una casa: sono ancora troppe le precarietà e gli alloggi impropri. Devo agire sul lato della manutenzione delle mie case comunali e regionali, ma devo anche favorire le forme pubbliche e del privato sociale (del tipo del c.d. housing sociale) che possono aiutare a dare una casa a chi non l’ha o a darne una adatta alle esigenze della propria famiglia.

Nella città che cambia e che è già cambiata l’organizzazione dei servizi e la stessa nuova pianificazione urbanistica non possono deflettere da un’impostazione che si modella sulla formazione della famiglia che agisce come punto intermedio di incontro tra la persona e la società; ed immaginare questa prospettiva non può non considerare l’apporto fondamentale delle donne sulle quali spesso grava il peso dell’organizzazione familiare a cui non è riconosciuto il giusto valore, come spesso accade anche nel mondo del lavoro.

Non è facile costruire un nuovo e diverso modello basato sulla vera parità, ma non posso non provare a provocarmi come città ed incominciare a potenziare ad esempio la politica e i servizi per la prima infanzia. Si dirà che è poco, ma è una cosa possibile. Promettere molto che non si può fare o mantenere non è buona politica: è semplicemente inganno.

Incominciamo con un primo passo, magari anche coinvolgendo i nostri anziani, che sono una vera ricchezza del nostro vivere familiare e sociale.

Quando immagino la politica di contrasto delle fragilità, della povertà, del bisogno, dell’emarginazione, mi vedo come una città che non si arrende all’idea che non si possano prevenire questi fenomeni, ma anche come città che sa che da sola con i suoi servizi pubblici non riesce a soddisfare una domanda purtroppo crescente di marginalità. Senza la presenza del vasto e generoso mondo dell’associazionismo sociale nessun sistema di servizi alla persona è in grado di fronteggiare la domanda di aiuto.

Voglio essere una città nella quale l’Amministrazione comunale il terzo e quarto settore collaborano attivamente e con fiducia per impegnarsi in un attento lavoro di costruzione delle risposte ai bisogni emergenti e di definizione delle strategie di inclusione per chi è ai margini.

Le attività del quarto settore realizzano una sintesi necessaria per dare nuova linfa ai tre settori esistenti: il privato che diventa fautore dell’economia sostenibile, il no-profit che si organizza con impostazioni imprenditoriali, il pubblico che apre con determinazione alla sussidiarietà. 

Voglio vincere la mia sfida più grande: nessuna persona deve sentirsi abbandonata e priva di ascolto.

Spesso mi interrogano e mi interrogo sui giovani, su che cosa occorra per loro e che cosa si possa fare.

Mi pare un approccio sbagliato, paternalista e vecchio.

Credo che via sia una grande energia, una passione inappagata, che vanno suscitate, partendo dal loro desiderio di vita.

Per questo motivo più che una risposta, o di una promessa di impegno, occorre una provocazione che interroghi lo spirito di futuro che è il timbro di questa età.

Questa provocazione è la sfida del mettersi in gioco, del rompere lo scherma di una realtà ineluttabile che condanna alla precarietà e alla sfiducia.

Ma non tutti sono ripiegati nella solitudine dei social e nell’indifferenza.

C’è, è vero, un disagio educativo che spesso è causa dell’indifferenza, ma moltissimi giovani hanno motivazioni, non solo personali, rivolte alla dimensione dell’impegno sociale, culturale e, in misura più ridota, a quello politico.

Raccolgo la sfida, voglio offrire occasioni culturali, di spettacolo, di sport, siano poi i giovani ad assumersi la responsabilità di utilizzarle.

Raccolgo la sfida rivolta anche alle famiglie: siano famiglie e giovani a diventare protagonisti e costruttori del loro vivere nella città.

Sono diversa nella composizione dei miei abitanti.

C’è la diversità nelle nostre scuole, nelle nostre case, nelle nostre piazze e strade, nel nostro lavoro.

Culture, religioni, modi di pensare e di vestire differenti. Abbiategrasso è come il mondo: persone, uguali, perché diverse.

Non posso non considerare che questa è la realtà consolidata e che occorre fare città anche nei confronti di tutte le diversità.

So bene che il pluralismo mette in difficoltà il modo di affrontare e attuare i principi di dignità della persona, di uguaglianza, ma questo è il nostro tempo, noi tutti, quali che siano le nostre provenienze, le nostre convinzioni, le nostre religioni, abbiamo il dovere di fare città, pur consapevoli che la città è il luogo della competizione, spesso della discriminazione, ma quel che costituisce l’essenza della città, dell’idea stessa di città, è il suo essere per eccellenza il luogo delle contraddizioni che trovano il modo di convivere, di fare strada comune, di fare comunità pur nella diversità. Anzi, si può dire che è la diversità l’essenza della città.

L’uguaglianza della diversità si basa sulla reciproca conoscenza, sulla condivisione di valori di convivenza comuni, che vanno costruiti non lungo traiettorie astratte, ma con iniziative di confronto sorte dall’incontro tra persone che vengono da mondi diversi, ma che abitano tutte sotto questo piccolo ritaglio di cielo.

C’è, è vero, un diffuso sentimento di insicurezza, un bisogno di legalità insoddisfatto; spesso è una percezione più che una vera realtà. Ma esiste e non posso trascurarlo.

C’è la legalità della sicurezza pubblica da migliorare con gli apparati di prevenzione e di controllo del territorio in specie nelle ore notturne. Qui si può immaginare un’azione coordinata tra le forze dell’ordine locali e statali ed anche il rafforzamento di quelle comunali.

C’è un’altra esigenza di legalità che riguarda la repressione dell’abusivismo edilizio, dell’inquinamento delle acque, dell’aria, della terra, della pratica abusiva del commercio o del suo illecito esercizio, della scorrettezza sulle strade.

Questi comportamenti illegali sono tipici della competenza della polizia locale, che va dunque fortemente orientata e recuperata, alla sua specifica qualità di polizia dell’ordinato vivere civile in una comunità.

C’è un’ulteriore esigenza di legalità che interroga la politica e che la richiama alla sua responsabilità.

Quel che offende la gente è il privilegio, è la raccomandazione che favorisce l’arbitrio e che spesso nasce da regole mal fatte, da procedimenti faticosi e inutilmente complessi.

La buona politica è quella che coltiva i diritti e non i favori clientelari, che non si piega agli interessi del più forte di turno, che non mistifica la realtà e non cede alla demagogia. Al contrario, esercita l’onestà dei comportamenti, usa il linguaggio della verità e la coerenza tra mezzi e fini, rispetta le differenze e le minoranze, mette la cura della comunità al centro della propria azione.    

Questa comunità da curare siamo noi, le persone che danno vita e mi fanno vivere nel nome di Abbiategrasso.